Che Governo Avremo?

epa04602001 New Italian President Sergio Mattarella (R), flanked by Italian prime minister Matteo Renzi (L) visits Rome's 'Altare della Patria', or 'Altar of the Fatherland' monument to lay a wreath at the tomb of the unknown soldier, in Rome, Italy, 03 February 2015. Mattarella after the ceremony was driven to the presidential residence, the Quirinal Palace, for his installation ceremony. Sergio Mattarella was sworn in as the coutry's new President during a ceremony at the Lower House of parliament earlier the same day. EPA/ALESSANDRO DI MEO

Che governo sarà? Il più ampio possibile, par di capire. Ma come chiamarlo? Da giorni impazzano le formule linguistiche più ampie, da governissimo a responsabilità nazionale, affiorano vecchi barocchismi da Prima Repubblica, ma tutti in fondo vogliono dire, più o meno, la stessa cosa: un governo di (quasi) tutti. Piccolo dizionario della crisi.

Governo di responsabilità nazionale. E’ la proposta ufficiale di Renzi, una maggioranza nuova che comprenda «la più ampia partecipazione delle forze politiche», per «affrontare «le scadenze del paese». Includerebbe Forza Italia, mentre Lega e M5S si sono già chiamati fuori.

Governo di scopo. Lo ha evocato il ministro Delrio a «Di Martedì»: «Un governo che porti alle elezioni con la persona che vorrà Mattarella». Gli scopi sarebbe due: salvare le banche e rifare la legge elettorale. «Lo scopo è quello di intascarsi la pensione» ha replicato il cinquestelle Di Maio, con riferimento al partito dei vitalizi che vuole evitare il voto a tutti costi.

Governissimo. Formula popolare coniata dal settimanale andreottiano Il Sabato nel febbraio 1990, per dare vita a un governo Dc-Psi-Pci. Andreotti si chiamò fuori sornione: «Non so di cosa parlino i miei amici, o gli amici dei miei amici. Ne ho talmente tanti». L’ultimo governissimo comunque fu quello di Letta dopo le elezioni del 2013.

Governo istituzionale. Un governo presieduto da uno dei presidenti delle Camere, Grasso o Boldrini, o da una personalità esterna. Lo vuole l’Ncd. L’onorevole Fabrizio Cicchitto (Ncd) lo ha sponsorizzato in questi giorni, fidando sul sostegno dei 42 senatori di Forza Italia. Ci fu un precedente nel 1987, quando Fanfani passò da presidente del Senato a Palazzo Chigi. Nel 2008 fallì un tentativo con il presidente del Senato Franco Marini, a cui Napolitano affidò un mandato esplorativo dopo le dimissioni di Prodi: si andò a votare (e vinse Berlusconi).

Governo di unità nazionale. Lo ha nominato Giorgia Meloni (Fi) come male assoluto. Ha esempi illustri e ripetuti. La Repubblica nasce con un governo di unità nazionale presieduto da Ferruccio Parri nel giugno 1945, stante l’impossibilità di De Gasperi e Nenni a mettersi d’accordo. Comprendeva le forze che avevano dato vita alla Resistenza. Durò sei mesi.

Governo della non sfiducia. L’ha riesumato dalle nebbia della Prima Repubblica il senatore Paolo Naccarato di Gal, un vecchio cossighiano: «Berlusconi ora conceda la non sfiducia». C’è un esempio illustrissimo: la solidarietà nazionale del 1976. Era un monocolore Andreotti (sempre lui) con l’astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri.

Larghe intese. Infine le larghe intese. «Un film dell’orrore», per Renzi (Zapping, 1 dicembre scorso) tramutatosi nell’unico scenario possibile dopo la valanga del No. «Chiediamo un governo di larghe intese» ha detto ieri sera il capogruppo renziano Ettore Rosato, uscendo dalla direzione Pd.

Fonte: Repubblica.it

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